Premessa
La Scuola francescana si è caratterizzata per il suo cristocentrismo che ruota attorno ai due eventi salvifici dell’Incarnazione e della Passione del Signore. Nell’Incarnazione, Dio ha rivelato la peculiarità divino-umana della “relazione” come capacità di amare liberamente, cioè la libera scelta di potersi donare totalmente all’altro, che è caratteristica tipica della Trinità, e che conduce il Cristo al dono tale di Sé sulla Croce tanto da suscitare in noi il desiderio di seguirne le orme nello spirito della assoluta povertà che si riassume nella “totale disponibilità e accoglienza” della divina Volontà.
In questo ideale francescano, Maria emerge come il modello assoluto a fianco del Cristo, i quali, in una relazione di amore e dialogo, accolgono la Volontà del Padre e offrono la loro vita per realizzare il suo progetto nella storia. Essi sono i consacrati a Dio sin da prima della creazione del mondo, risplendenti di quella bellezza che è riflesso della vera e originaria “immagine e somiglianza” con cui Dio ha voluto creare l’umanità.
Maria, divenendo Madre del Verbo Incarnato, è stata progettata e amata dall’istante stesso in cui Dio ha pensato al Verbo che sarebbe divenuto uomo, prima di ogni altra creatura, ed stata quindi pensata insieme al Figlio (“co-pensata”), congiunta con Lui in tutta la vicenda della creazione.
Per la Scuola francescana è impensabile pensare Cristo senza Maria, o l’Immacolata senza il Cristo «suo salvatore» (Lc 1,42). È in questa chiave di lettura che si può comprendere la mariologia francescana e il concetto di consacrazione che ne ha caratterizzato alcuni aspetti della spiritualità.
I fondamenti della consacrazione a Maria francescana
San Francesco d’Assisi[1] non ha scritto nessuna mariologia e mai si è soffermato su questioni teologiche riguardanti la Vergine. Egli nutriva verso di Lei un amore affettivo, perché era la Madre di quel Gesù che è divenuto il tutto della sua vita, l’ideale della sua esistenza.
Per questo motivo, il suo primo biografo, frate Tommaso da Celano, aveva messo in evidenza che san Francesco «circondava di un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il Signore della maestà»[2]. Grazie a Lei il Figlio di Dio era divenuto nostro fratello, così che in Lui tutti noi siamo divenuti figli dell’unico Padre celeste e fratelli di Gesù.
Lontano dalle disquisizioni speculative, l’Assisiano aveva intuito misticamente le verità teologiche e il ruolo di Maria nella storia della salvezza. Aveva, cioè, compreso “l’indissolubile correlazione” tra Cristo e Maria, tra il Figlio e la Madre, che non volle separare neppure nella sequela: «Io, frate Francesco piccolo, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signor nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa fino alla fine»[3].
Una sequela che era divenuta essenzialmente “imitazione” della vita di Cristo per potersi “conformare” a Lui come si era conformata nel massimo grado Maria.
Maria è la prima che vive questa esperienza del «Dio che abita in lei». Anzi, è tutta la Trinità che prende dimora in Lei, perché «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).
Chi meglio di Maria ha osservato la Parola di Dio, è stata da Lui amata e quindi abitata? Per questo motivo Francesco ogni giorno ripeteva, per ben 14 volte, questa antifona[4]: «Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mondo, tra le donne, Figlia e Ancella dell’Altissimo sommo Re, il Padre Celeste, Madre del Santissimo Signore nostro Gesù Cristo, Sposa dello Spirito Santo»[5].
In questa preghiera si evidenzia l’intimo rapporto tra la Vergine e la Trinità. Maria è tutta della Trinità e diventa per noi un modello da seguire, per appartenere anche noi alla Trinità. Ma tale appartenenza è legata alla sequela di quel Cristo (cf 1Pt 2,21), che «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà (2Cor 8,9). Egli, essendo ricco più di ogni altra cosa, volle tuttavia scegliere insieme alla sua Madre Beatissima la povertà»[6]. Con queste parole, san Francesco ci indica quale sia il nostro ideale di vita: seguire la via che hanno intrapreso Cristo e Maria! La strada che lui stesso aveva voluto seguire.
Seguire Gesù che si è fatto “servo”
Ciò che aveva colpito il Santo d’Assisi era stata la scelta del Verbo di Dio di abbandonare la sua posizione, nel grembo del Padre, per entrare nella storia nel grembo di Maria come umile bambino. E, cosa stupefacente, tale evento si rinnova quotidianamente. Così scrive il Santo: «Ecco, ogni giorno Egli si umilia, come quando dalla sede regale (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre (Gv 1,18; 6,38) sopra l’Altare nelle mani del sacerdote»[7].
Questa meditazione del grembo del Padre e del grembo di Maria risuonerà nella Scuola francescana per secoli. Così una clarissa spagnola Juana de la Cruz (1481-1534)[8], in linea con Francesco, immagina un dialogo tra Dio Padre e il Figlio: «Il Padre dice a Gesù: “Fosti così trasfigurato per amore del genere umano tu, che essendo Dio come me, ed amandoti come mio, ti inviai nel mondo. Ed essendo onnipotente ti trasfigurasti in bambino; ed essendo Signore ti trasfigurasti in servo; ed essendo ricco ti trasfigurasti in povero; ed essendo il più bello di tutti i figli dell’uomo ti trasfigurasti in piagato e sanguinante nel momento della cruda Passione; e ancora ora ti trasfiguri ogni giorno andando e stando nell’Ostia Santa, ogni volta che sei chiamato, e così discendi e sei là rinchiuso, come stesti nel ventre verginale della tua preziosa Madre, e come stesti sulla Croce”»[9].
E la Mistica conclude: «Tra tutte le meraviglie che l’Onnipotente Dio fece, non ne fece una maggiore di quella di prendere la carne e di discendere dal Cielo sulla terra, e da Dio farsi uomo, e da Signore farsi servo»[10].
In tutta la scuola francescana troviamo la convinzione che la consacrazione di Gesù al Padre si è concretizzata nell’umiltà, nel divenire «servo di Dio» e «servo dell’uomo». Così che all’Annunciazione, Maria si dichiara: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38) in sintonia con le parole di Gesù, che, uscendo dal seno del Padre per entrare in quello della Madre, disse: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà» (Eb 10,5.7.9).
È questa la costante interpretazione che gli autori francescani fanno del testo di Filippesi 2,6-7: «Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo». Accostandolo all’Annunciazione, in cui la «serva del Signore» accoglie Colui che ha scelto di diventare il preannunciato «servo di Jahvé». È in questo momento che avvengono le nozze mistiche della natura divina con quella umana: nel grembo della Vergine fatta Chiesa, per un atto di “umiltà” in cui ci si pone liberamente al servizio di Dio.
Dello stesso parere è Juan de los Angeles (†1609)[11], il primo che scrive sulla schiavitù mariana per le monache Concezioniste francescane di Alcalà de Henares. Egli mette in luce che la consacrazione di Maria a Dio si manifesta e realizza proprio nel titolo di “serva”. Egli scrive: «Ma da dove tanto onore a tanto infame titolo, nelle leggi del mondo? Dalla stessa Vergine, e dal suo Santissimo Figlio. Ella lo acquistò quando il Verbo divino si impadronì del suo cuore, e penetrò nelle sue viscere, e si fece suo Figlio. Volle che con la Maternità, che dice rispetto infinito, questo titolo andasse di pari passo a tanta umiltà che dice e proclama sottomissione. Ecco la serva del Signore[12]. Appena l’umilissima Vergine pronunciò queste parole lo Spirito Santo operò questo altissimo sacramento dell’Incarnazione»[13].
Sono parole essenziali perché si realizzi il progetto divino! A queste parole sono legate le sorti dell’umanità intera.
E il nostro Autore continua: «O cosa grande, prima schiava che Madre? E non sarebbe stata Madre, se non si fosse confessata schiava; perché l’umiltà della Vergine, piena di fede, concepì il Verbo divino»[14].
Maria è divenuta feconda di Dio perché si è confessata sua schiava. L’essere schiavi significa appartenere ad un padrone, essere sua proprietà. Così la Vergine si dichiara schiava del Signore perché, per poter fare pienamente la sua Volontà, bisogna essere totalmente suoi. E se la Vergine fosse stata ripiena di se stessa, probabilmente non avrebbe avuto in sé posto per accogliere il Figlio di Dio.
Francesco intuisce che per poter ospitare Dio in noi è necessario svuotarci di tutto, liberarci dalla schiavitù che ci lega troppo all’egoismo e alle cose del mondo, per essere poveri di tutto ciò che ci ostacola dal fare spazio a Dio.
Il Totus tuus di Gesù e Maria
Juan de los Angeles, cerca di spiegare ancor meglio la consacrazione di Maria: «Perché la Vergine dice: Ecco la schiava del Signore, se il suo santissimo figlio fa quella stessa confessione tramite il suo santo Profeta: Io sono il tuo servo, io sono tuo servo, figlio della tua ancella[15]? e lo ripete due volte, per significare il piacere che ha di esserlo: e in molti altri passi della Scrittura, attribuisce a sé stesso questo nome: il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2,6-7). Non disse io sono il tuo servo, Padre eterno (in quanto uomo) e figlio della tua Sposa, o figlia; bensì della tua Schiava»[16].
Gesù si gloria di essere figlio, non della regina, non della donna più bella o potente, ma dell’umile serva. Dio non ha scelto una via trionfale, ma ha percorso la strada dell’umiltà che lo ha totalmente consacrato alla Volontà del Padre, così che tutto quello che è di Gesù è del Padre e viceversa. Perciò Juan de los Angeles afferma: «Le opere dello Schiavo e tutte le sue azioni sono del suo padrone, come lo è la sua persona: tutto è di chi lo ha comperato. Chi è tale del Padre eterno, se non Cristo? Io vivo per il Padre (Gv 6,57). Tutta la mia vita riferisco al Padre mio, perché sono suo»[17]. Con queste parole il nostro Autore rivela che Gesù è stato il primo Totus tuus di Dio perché: «Tutto Cristo, in quanto Dio e in quanto uomo, è del Padre; e per la parte umana, si confessa suo schiavo»[18].
La dimensione umana dell’appartenenza a Dio è quella della schiavitù, che significa: dono totale di sé stessi a Dio.
Ecco allora che Maria, essendo sin dall’inizio intimamente congiunta al Figlio, anche Lei ha il compito di rivelare questa totale appartenenza del Figlio al Padre: «Io sono tuo schiavo e figlio della tua schiava, e in ragione di questo, e in conformità del Figlio la Madre si chiama Schiava; e per potersi chiamare così, volle e comandò al suo profeta che avesse detto che lo fosse, e confessasse tale sua Madre; perché i figli seguono la condizione delle madri, che sono schiavi se esse lo sono, anche se i padri sono liberi»[19].
Anche Melchor de Cetina, che scrive il secondo tratto sulla schiavitù mariana nel 1618, conferma: «Il Figlio di Dio, che, in quanto Dio, era uguale in dignità e potenza con Suo Padre, uguale al Padre secondo la divinità, in quanto uomo, si offrì come schiavo, dicendo attraverso Davide: Io sono tuo servo e figlio della tua ancella. Essendo Figlio della Schiava di Dio, Cristo si riconobbe, in quanto uomo, schiavo di suo Padre»[20].
Dopo Gesù, ad essere il Totus tuus di Dio, vi è Colei che si è dichiarata la Serva del Signore al pari di suo Figlio. Di Lei scrive ancora Juan de los Angeles: «Felice schiava, tutta di Dio, e tutta per Dio che né un pensiero le venne dal mondo, né una parola oziosa uscì dalla sua bocca; né fece opera che non fosse in servizio di Colui che allevò e scelse per Madre»[21].
Maria è la prima creatura tutta consacrata alla Trinità.
Il celebre trattato Passio duorum (del 1526) le mette in bocca queste parole di consacrazione: «Sono la tua Serva poverella e tua creatura e opera delle tue mani; e se ho qualche bene, esso è tuo»[22].
Oltre che alla consacrazione di Gesù e Maria al Padre dobbiamo riconoscere che anche Gesù è il primo Totus tuus di Maria, perché è il Padre stesso che affida a Maria suo Figlio, il quale diviene il Tutto di Maria, tanto che Bernardino da Siena ebbe a scrivere: «La misura dell’amore naturale è in ragione della somiglianza e della vicinanza fra l’amante e colui che si ama. Per cui nell’Ecclesiastico (XIII,19) è scritto: Ogni creatura vivente ama il suo simile. Ora fra nessun figlio e nessuna madre vi fu tanta somiglianza e vicinanza quanta ve ne fu tra la Vergine e il Figlio suo, dal momento che Gesù fu tutto e solo della sostanza della Madre»[23].
È dunque convinzione della scuola francescana che Maria, consacrandosi a Dio, divenne co-partecipe del suo amore (co-amante), entrò a far parte della Famiglia divina, tanto che il suo Cuore fu così pieno dell’amore divino che fu capace di amare il Figlio con un amore simile a quello del Padre.
Il Cuore di Gesù e Maria
I nove mesi che il bimbo permase nel suo grembo sono l’inizio di quella intima relazione che non staccherà più la madre dal figlio: nelle prime settimane dalla concezione, il bambino vive con il cuore della madre, perché il suo non si è ancora formato. Tutti i sentimenti del bimbo sono quelli della madre, e – secondo l’insegnamento dei rabbini – il bambino impara a pregare nel grembo della madre, impara a conoscere Dio nella madre e con la madre.
Nonostante san Tommaso d’Aquino lo negasse, i maestri francescani a partire da Ubertino da Casale non ebbero mai dubbi di credere che l’uomo Gesù ha imparato ad essere uomo proprio da Maria. In effetti, il Padre, che ama il proprio Figlio, lo invia dal suo seno a quello di Maria facendo in modo che il luogo dell’Incarnazione potesse essere il più possibilmente simile al grembo del Padre. Ecco perché la Vergine doveva rassomigliante al Cuore di Dio pieno di grazia, di amore e di fede per il suo Figlio. Lei è chiamata ad essere con il Padre la co-amante del loro unico Figlio. È nel Cuore, insegna Ubertino da Casale, che lo Spirito Santo spinge la Vergine a ricercare tutto ciò che concerne il Figlio[24]. Ed è da quel Cuore che il Dio bambino, sulla terra, cerca il suo vero nutrimento[25]. Ed è lui solo che è capace di consolarlo nel momento della Passione[26].
Il Cuore di Maria è chiamato ad un amore incomparabile, dice san Bernardino da Siena[27]. Lo Spirito Santo nel suo Cuore tradusse l’Amore divino in amore umano, così che Lei poté consacrare tutta la sua vita a Dio come umile Serva del Signore dove la sua “obbedienza a Dio” non è altro che il frutto di una libera scelta d’amore: una “schiavitù d’amore”[28].
Il Cuore di Maria è il modello a cui ci si deve conformare per amare Gesù: non vi fu, infatti, nella storia del mondo nessun cuore umano che amò il Cristo più di Maria. E nessun cuore umano seppe amare Maria come quello dell’uomo Gesù.
La Consacrazione ai Sacri Cuori è nella tradizione francescana una imitazione di Cristo e della sua poverella Madre che si sono reciprocamente consacrati all’amore vicendevole.
Necessità della consacrazione
Sembra diffuso nella Scuola francescana che vi sia quasi la necessità di consacrarsi, o affidare la propria vita a Maria, per poter arrivare a Gesù. Anzi, vi è l’idea che per poter imitare autenticamente Cristo, e quindi fare un cammino spirituale, bisogna appartenere a Maria.
Ecco alcuni esempi:
Giacomo di Milano († fine XIII) nel suo Stimulus amoris[29] così prega: «Dolcissimo Gesù, concedi a me, l’infimo dei peccatori, di rendere alla Madre tua l’onore che le si addice. E tu, clementissima Signora, a me indegnissimo peccatore, ottieni di dedicarmi interamente al tuo servizio, di renderti omaggio in ogni tempo con mente pura e di esaltare continuamente la tua benevolenza con cuore devoto»[30].
E conclude: «Così seguirò le orme della mia dolcissima Madre, la cui anima nella Passione del Figlio fu trafitta da una spada. Perché ferito, la invocherò con sicurezza e la piegherò al mio desiderio. Non mi mostrerò soltanto con il suo Figlio Crocifisso, ma tornando al presepio giacerò piccolo con Lui per poter essere allattato anch’io al suo seno insieme con il Figlio. Mescerò dunque il latte della Madre con il sangue del Figlio e mi preparerò una dolcissima bevanda»[31].
Questo perché nei francescani vi è la concezione lasciata in eredità dal Fondatore, come dice Corrado di Sassonia, che: «Se Cristo è fratello dei credenti, subito sua Madre sarà nostra Madre. Orsù, dunque, carissimi fratelli rallegriamoci nel Signore e pieni di gioia diciamo: “Benedetto sia tale fratello, per cui la Vergine Maria è nostra Madre, e benedetta sia tale Madre, per cui Cristo è nostro fratello”»[32].
L’avere Maria per Madre ci assicura l’intimità con il Cristo. Anzi, l’affidarsi a Maria significa essere sicuri di percorrere la via giusta che porta a Cristo. Per questo motivo Ubertino da Casale mette in bocca alla Vergine queste parole: «Dopo mio Figlio […] sono la sola a partecipare, più di tutti gli altri, al suo immenso dolore, e pertanto con pienissimo e perfettissimo amore offro il mio Figlio Gesù a coloro che debbono essere formati, istruiti, redenti, restaurati e glorificati: a coloro che vogliono partecipare al beneficio di questa redenzione»[33]. È chiaro che con tale maestra non potremo sbagliare! Perciò dovrebbe essere naturale per il credente il cercarla, il rivolgersi a Lei, per dirle insieme a Juan de los Angeles: «Il mio cuore, Vergine Santa, è tuo: i miei pensieri, parole ed opere consacro e dedico a te, Regina del Cielo, e attraverso di te, al tuo Santissimo Figlio; perché senza te, Egli mi riceverà come un’offerta tanto piccola e scarsa»[34].
L’opera di Maria è quella di presentarci al Figlio, di consacrarci a Lui.
Se Maria è la «Vergine fatta Chiesa» dove il Verbo di Dio si è fatto uomo e noi siamo stati adottati come figli di Dio, così è ancora in Lei che noi veniamo consacrati a Lui. È Lei il luogo della nostra vera consacrazione a Dio.
Essa è necessaria per lo svolgimento della nostra vita quotidiana, come insegna san Bonaventura: «Ricordati di tenere sempre in somma venerazione e grande affetto di devozione la gloriosa Vergine, Madre di Dio, e in tutte le necessità, pericoli e oppressioni rivolgiti a Lei come a singolare rifugio e difesa, supplicandola che ti riceva sotto la sua tutela e protezione; prendila per tua interceditrice e avvocata e affidale con fiducia tutte le tue occupazioni, perché è Madre di misericordia. Pertanto, non deve passare giorno in cui l’uomo devoto non offra alcun servizio ed atto di singolare riverenza alla Vergine»[35].
Consacrazione e Battesimo
Per la tradizione francescana, l’affidarsi quotidiano a Maria è anche legato alle promesse battesimali, con le quali siamo consacrati a Dio. Già in sant’Antonio di Padova vi era l’idea della fedeltà a tali promesse viste nelle fasce con cui fu avvolto Gesù da Maria: «“Lo avvolse in fasce”. Osserva che Cristo, all’inizio e alla fine della sua vita, viene avvolto in fasce. “Giuseppe [d’Arimatea] – dice Marco – comprato un lenzuolo, calò Gesù dalla croce e ve lo avvolse” (15,46). Beato colui che finirà la sua vita avvolto nelle fasce dell’innocenza battesimale. Il vecchio Adamo, quando fu cacciato dal paradiso terrestre, venne ricoperto di una tunica di pelli; la pelle, quanto più si lava, tanto più si deteriora: e in ciò è raffigurata la sua carnalità e quella dei suoi discendenti. Invece il nuovo Adamo viene avvolto in panni che nella loro bianchezza raffigurano il candore della Madre sua, l’innocenza battesimale e la gloria della risurrezione finale»[36].
In questo testo, sant’Antonio auspica che anche il credente possa vivere tutta la sua vita avvolto dal dono battesimale che lo rende simile a Maria Immacolata e gli procura il dono della gloria futura. Come Cristo è stato rivestito da Maria di questa bellezza così anche noi possiamo vivere nella fedeltà al Battesimo imitando l’Immacolata, perché è Lei che ci aiuta ad essere fedeli al nostro Battesimo, come rivela Melchior de Cetina nel suo trattato: «Nel secondo capitolo del libro dell’Esodo si narra che, la principessa d’Egitto, figlia del re Faraone, essendo uscita a lavarsi nel fiume, comandò di trarre dalle acque il bambino Mosè, che, conforme al decreto del re, lo avevano gettato nel fiume in quanto figlio di schiavi ebrei. Mossa da una naturale compassione, la principessa lo fece allevare e lo adottò come figlio. Tutto questo è una bella metafora di quello che vediamo compiuto nella Regina del cielo, che a quelli che escono dall’acqua del Battesimo, o se dopo questo peccarono per debolezza, dall’acqua delle lacrime della penitenza questa Principessa del Cielo li addotta e li accoglie come figli, e come tali li mette sotto la sua protezione»[37].
Il dono di poter servire la nostra Avvocata
Il consacrarsi a Maria significa esprimere questa fiducia verso la misericordia di Dio che ci ha donato questa Madre perché ci protegga e ci sia Avvocata nel nostro cammino di fede. È chiaro che questo è un dono di Dio. Un segno del suo amore che: «Dio concede solo ai suoi amici!»[38].
San Bonaventura, dice il Cetina, invitava i frati a pregare così: «Dolcissimo Signore Gesù Cristo, degnati di concedere questa grazia a questo miserabile peccatore: che degnamente riesca a servire tua Madre»[39].
Servire Maria, dunque, è un dono di grazia, una prerogativa che Dio può donarci: «Ed è di tanta eccellenza questa prerogativa, che come segno di singolare amore Dio la concesse ai suoi migliori amici, il donarli alla Vergine, perché li riceva sotto la sua tutela e protezione. Stando sulla Croce affidò il suo discepolo amato san Giovanni a sua Madre, chiedendole che lo ricevesse per figlio e come tale lo proteggesse e lo aiutasse: Ecco tuo figlio, in ciò diede buona mostra dell’eterno amore con cui lo amava. E se, come abbiamo detto sopra, questa grazia la fece a san Giovanni non tanto come a persona particolare, ma come a discepolo del Salvatore, che così ricevette questa grazia nel suo nome e di tutti i discepoli, da qui ne segue che tutti gli apostoli godranno di questo privilegio e che la Vergine Santissima li ha ricevuti sotto la sua protezione, accorrendo, come pietosa Madre, a consolazione e riparo di ciascuno, del quale si valevano e si aiutavano per uscire bene dalle difficoltà che si offrivano nella predicazione del Vangelo; e questa fu una grazia particolare e un favore che Dio fece ai suoi apostoli: dare loro per protettrice e Madre la sua benedettissima Madre»[40].
Bonaventura ci narra che anche san Francesco voleva essere servo di Maria, quando scrive: «Nella chiesa della Vergine, Madre di Dio, dimorava, dunque, il suo servo Francesco e supplicava insistentemente con gemiti continui Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), perché si degnasse di farsi sua Avvocata»[41].
E ancora: «Francesco, pastore del piccolo gregge (Lc 12,32), ispirato dalla grazia divina, condusse i suoi dodici frati a Santa Maria della Porziuncola, perché voleva che l’Ordine dei minori crescesse e si sviluppasse, sotto la protezione della Madre di Dio, là dove, per i meriti di Lei, aveva avuto inizio»[42].
Anche qui vi è la chiara convinzione che nulla nella Chiesa può nascere senza Maria, nulla può essere fecondo senza di Lei!
La consacrazione come affiliazione
Il Nuovo Testamento ci rivela che noi siamo stati creati per diventare figli di Dio per adozione. Questa adozione è avvenuta nel grembo di Maria, quando il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha assunto la nostra natura umana. Così, spiegando ancora la consacrazione a Maria, il Cetina scrive che: «San Paolo chiamò il Cristo, Figlio naturale della Vergine, nostra Signora, primogenito tra molti fratelli; la qual cosa non solo si ha da intendere in quanto è Figlio naturale di Dio e capo dei predestinati, che sono figli di Dio per adozione, ma anche si ha da intendere del Cristo, in quanto è Figlio naturale della Vergine e primogenito tra i giusti, che sono figli di questa celeste Regina per adozione»[43].
Anche nel momento solenne della Croce viene ribadito lo stesso argomento: «Così come il Redentore tra i dolori della Croce ci rigenerò spiritualmente, mediante il suo sangue prezioso, a nuovo essere spirituale della sua grazia, facendoci figli per adozione del suo eterno Padre, così volle che la Vergine, in mezzo ai dolori della compassione che patì nel veder patire suo Figlio, che amava più di sé, ci rigenerasse spiritualmente; perché, essendo figli del Padre per adozione, lo fossimo anche di sua Madre, perché da ambo le parti, da parte del Padre e della Madre, fossimo fratelli di Cristo»[44].
È chiaro, dunque, che Maria è nostra Madre per Volontà e dono di Dio, e l’affidarci a Lei significa riconoscere che siamo suoi come Lei lo è della Trinità.
La consacrazione-affidamento a Maria è un imitare:
- il Padre che affida il suo Figlio a Maria;
- il Figlio che si mette nelle mani di Maria per essere suo figlio;
- è un imitare la stessa Vergine che, come dice Francesco, con il Figlio e lo Spirito è stata totalmente consacrata alla Trinità.
La storia della Chiesa dimostra che tutti coloro che vogliono consacrarsi a Dio in modo speciale lo fanno tramite Maria. Santa Veronica Giuliani (1727) è un esempio lampante, lei dice: «Intendevo di fare un sacrificio a Dio di tutta me stessa; e, con fede, rivolta verso Maria Santissima, le dicevo: Eccomi pronta a patire. Vengano pure le pene; per fare la volontà Vostra, Mamma Cara, mi esibisco a patire tutto ciò che volete. Io sono Vostra; fate di me ciò che volete. Io mi confermo in quelle tre virtù, cioè della Volontà di Dio, della fedeltà a Voi e della obbedienza a chi sta in luogo di Dio»[45].
In poche parole, anche santa Veronica dice: sono tutta tua! Ripentendo le parole del salmo 118, del Salterio attribuito a san Bonaventura: «Io sono tutto tuo: e ogni mia cosa è tua, o Vergine benedetta sopra tutte le cose».
La “Schiavitù mariana”
La spiritualità mariana francescana si sviluppò nei secoli e si diffuse in tutte il mondo attraverso le missioni sin dal XIII secolo. In questo cammino storico una tappa fondamentale è stata la nascita della “consacrazione alla Vergine Maria” nella forma della “schiavitù mariana” nell’ambito delle monache Concezioniste francescane spagnole, che sono la vera anima femminile francescana che lottò a favore dell’Immacolata Concezione[46]. Tale forma di consacrazione fu ideata da suor Inés de San Pablo (†1595), monaca del famoso monastero di Sant’Ursula ad Alcalà de Henares, situata alla periferia di Madrid[47]. In base alla propria Regola le Concezioniste fanno la professione di offrire se stesse «al nostro Redentore e alla sua gloriosa Madre, donandosi come ostia viva nell’anima e nel corpo»[48]. Tale consacrazione rispecchia la via da seguire indicata da Francesco d’Assisi e divenuta regola di vita per le Concezioniste francescane, come viene testificato dalla bolla di approvazione dell’Ordine[49].
Fedele alla sua vocazione di “servire Dio e la Vergine”, suor Inés ebbe l’idea di fondare una Confraternita che potesse dare una maggiore radicalità a questo tipo di consacrazione e ne favorisse la diffusione tra i fedeli fuori del monastero. Fu così che nel 1595 veniva canonicamente eretta la prima Confraternita degli schiavi e schiave di Maria[50].
Le prime regole vennero redatte per conto delle monache dal francescano Juan de los Angeles (1536‑1609)[51], conosciuto in Spagna per i suoi numerosi scritti mistici[52].
Secondo Juan de los Angeles la consacrazione a Maria va intesa soprattutto come imitazione del Figlio di Dio che è tutto del Padre, tanto che nell’Incarnazione si evidenzia questa sua totale dipendenza col divenire suo “schiavo”. E Maria, in conformità al Figlio, anche Lei si dichiara la «schiava del Signore»[53]. Anzi, è solo dopo che Maria ha pronunciato le parole: «Eccomi, sono la schiava del Signore», che lo Spirito Santo attua l’evento salvifico dell’Incarnazione[54]. La risposta della Vergine diventa così un atto salvifico che rivela la piena e totale adesione dell’umanità alla Volontà di Dio.
Così la “schiavitù mariana” non è altro che un seguire le orme tracciate da Cristo e da Maria quando hanno detto il loro sì alla ricreazione del mondo. In questa loro adesione alla Volontà di Dio vi è un totale affidamento di tutta la loro esistenza nelle mani del Padre, per essere tutti suoi secondo l’affermazione del Salterio della Vergine: «Totus tuus ego sum».
Melchior de Cetina (tra il XVI‑XVII sec.)[55], frate della provincia di Castiglia, Lettore di teologia e predicatore, continuò l’opera iniziata da Juan de los Angeles. La sua Esortazione alla devozione alla Vergine costituisce il primo trattato sulla schiavitù mariana. Egli cerca di fondare questa consacrazione sulla Sacra Scrittura, sui Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente e sui grandi autori cristiani. Il suo trattato è ricco di citazioni che lo collegano agli autori precedenti e alla dottrina della Chiesa.
L’Autore si rivolge anzitutto alle monache Concezioniste, esaltando la loro scelta di vita religiosa sull’esempio di Maria, la quale fu la prima a seguire l’Agnello nella via della bellezza[56]. Anzi, il Cetina identifica il monastero come la “casa di Maria” dove le monache si sono rifugiate per «valersi del suo favore; e lì si sono incontrate con Lei, perché non si rifiuta a chi la cerca con impegno: cercala e ti si manifesterà»[57].
Il Cetina si rivolge anche ai laici perché imitino il fervore di queste monache e le seguano aderendo alla Confraternita della schiavitù mariana. Così scrive la sua Esortazione per mostrare come Maria sia modello autentico di vita cristiana e via sicura per acquistare il Regno di Dio.
Egli è convinto che la devozione a Maria è segno sicuro della predestinazione al Cielo[58], per cui dobbiamo cercare i suoi favori e la sua amicizia.
Una nota caratteristica dell’opera del Cetina è l’importanza che viene data all’azione dello Spirito Santo. È lui che, conoscendola intimamente, anima, illumina e conduce la Chiesa alla comprensione di chi è la Vergine. È lo Spirito stesso che ha composto il Nome di Maria[59] ed è grazie alla sua azione che arriviamo a scoprire chi è la Vergine, perché Lei è la ricolma di Spirito Santo che l’ha plasmata e riempita dei doni della grazia.
Tutto questo lo ha fatto perché in Lei doveva incarnarsi il Figlio di Dio, quel Salvatore che ci donò la Vergine come Madre. È in questo dono di Cristo che si fonda la nostra devozione a Maria.
Entrambi gli autori vivono immersi in una forte spiritualità mariana, diffusa in Spagna da molti autori mistici e in speciale modo da Ambrosio Montesino (†1514)[60], poeta e predicatore francescano alla corte dei re cattolici, che dovunque predicava la devozione mariana come valido mezzo di vita cristiana e come un “atto di servizio”, sempre gioioso e grato verso la Madre di Dio: «È cosa molto utile e di gran profitto onorare la gloriosa Vergine Maria e lealmente servirla»[61], per cui «tutti gli uomini e tutte le donne, sia servi che liberi, come chiunque altro, e i bambini, devono pregare e ogni giorno invocare la gloriosa Vergine Maria e fedelmente servirla, perché li vuole aiutare in tutte le tribolazioni, dolori e necessità»[62].
Servire Maria significa servire il suo Figlio, perché «Egli considera essere fatto a Lui qualsiasi servizio ed onore che viene fatto a sua Madre»[63].
Sotto l’influsso del cenacolo mariano di Alcalá[64] la schiavitù mariana comincerà a diffondersi in Spagna con il trinitario Simón de Rojas (†1624), che fondò la Congregación de esclavos del Dulce Nombre de María; con il mercedario Pedro de Jesús María Serna (†1642), con l’agostiniano Bartolomé de los Rios (†1652)[65], che scrisse il libro El esclavo de María e nel 1641 la celebre opera De hierarchia mariana, dove parla più volte della dignità degli schiavi di Maria[66].
In Francia la schiavitù mariana si diffuse per opera di Pierre De Bérulle (†1628), di Henri-Marie Boudon (†1702)[67] e del gesuita Louis Jobert (†1719)[68].
In Italia la schiavitù mariana fu divulgata dai Teatini[69] che organizzarono dei sodalizi in Sicilia e nella Savoia, e attraverso le congregazioni mariane fondate dai Gesuiti[70].
Ma il più grande apostolo della “schiavitù mariana” fu Luigi Maria Grignion de Montfort (†1716)[71] che con il suo Trattato della vera devozione alla santa Vergine diede alla consacrazione a Maria un orientamento marcatamente cristologico e battesimale.
Il servizio all’Immacolata Concezione
L’Immacolata Concezione è un altro capitolo fondamentale della storia francescana. Esso deve essere letto nello «spirito di povertà», che è fatto di distacco da tutto e da se stessi, che ha portato la spiritualità francescana all’annientamento di sé e alla totale donazione a Maria. È questo che caratterizza la devozione all’Immacolata espressa prima nella schiavitù di Maria, e poi nella Milizia dell’Immacolata.
Il fervore nel sostenere il privilegio mariano si era già concretizzato nel voto (che può essere inteso come una consacrazione) di difendere in tutto e per tutto (anche con la vita) la dottrina della Concezione senza il peccato originale di Maria. Ne è testimone san Leonardo da Porto Maurizio che parlando del Dottore Sottile dice: «Il mio sottilissimo Scoto, che con lume particolarissimo del Cielo pose in chiaro questo alto mistero per difendere il quale, noi tutti seguaci di sì grande maestro siamo pronti a dare sangue, onore e vita»[72].
Nel 1623, papa Urbano VIII approvava la Milizia dell’Immacolata Concezione ideata da Pedro de Alva y Astorga nel convento francescano dell’Ara Coeli a Roma[73].
Tutti i Santi e dottori francescani faranno a gara per cantare le glorie dell’Immacolata e per diffonderne la devozione.
Non dimentichiamo, ad esempio, che il terziario francescano Cristoforo Colombo (†1506)[74] (volle essere sepolto vestito con il saio), imparò dai frati l’amore per l’Immacolata Concezione[75], e quando arrivò nel nuovo Continente diede il nome di Santa María de la Concepción a tre isole (15 ottobre 1492; 7 dicembre 1493; 1498). Anche nel suo Testamento chiese che fosse celebrata per lui una Messa in onore della Concezione di Maria[76].
Anche l’umile frate, san Carlo da Sezze (1613-1670)[77], loda così il privilegio mariano: «O Vergine Benedetta, voi che per la vostra purità siete più bella e più risplendente del sole, più candida e più bella della neve, non essendo in voi macchia alcuna di peccato, mentre del primo istante della vostra Immacolata Concezione fossivo resa dal vostro onnipotente Figliuolo libera dalla colpa originale; che però meritaste d’essere fatta degna d’albergarlo per lo spazio di nove mesi nel vostro utero virginale, e poscia mandarlo alla luce del mondo senza frangersi il claustro virginale; del che la Chiesa Santa canta di Voi: Vergine avanti il parto, nel parto e dopo il parto. Onde per sì eroiche virtù delle quali foste abbellita, meritaste di essere amata et accarezzata da tutta la Santissima Trinità; onde nel cielo avete le chiavi del tesoro delle grazie, e di esse, come afferma san Bernardo e san Bernardino da Siena, ne siete la Dispensiera»[78].
Ma tra i tanti, nel XX secolo emerge la figura di san Massimiliano Kolbe (†1941), che nel 1917 istituiva la sua Militia Immaculatæ riprendendo un’antica tradizione francescana e la fondava sulla donazione assoluta a Maria nella schiavitù d’amore. La spiritualità di questa associazione ruota tutta attorno al mistero dell’Immacolata Concezione, che Kolbe aveva inteso essere l’ideale di santità del cristiano[79]. Egli scrive «Avvicinarci a Lei, renderci simili a Lei, permettere che Ella prenda possesso del nostro cuore e di tutto il nostro essere, che Ella viva e operi in noi e per mezzo nostro, che Ella stessa ami Dio con il nostro cuore, che noi apparteniamo a Lei senza alcuna restrizione: ecco il nostro ideale»[80].
L’imitazione della Vergine Immacolata, che Kolbe presenterà nella sua più profonda radicalità, si inserisce pienamente nella tradizione francescana, che da Francesco in poi ha recepito Maria, insieme al suo Figlio, quali modelli della vera vita cristiana, quali ideali della stessa esistenza umana.
Conclusione
Tutta la mariologia francescana ruota attorno a quanto san Francesco aveva intuito di Maria: Lei è essenzialmente la «Vergine fatta chiesa», il «palazzo», il «tabernacolo», la «casa» che Dio si è costruita per sé stesso. In questo senso Lei è la prima Chiesa che Dio ha consacrato per se stesso, divenendo per noi il modello per ogni consacrazione alla Trinità.
Maria è consacrata dal Padre insieme al Figlio e allo Spirito. Anche se l’Incarnazione si riferisce alla persona del Figlio, san Francesco intuisce che la consacrazione di questa chiesa primigenia nella persona di Maria è opera comune della Trinità così che in essa viene ad abitare non solo il Figlio, ma tutta la Trinità. In effetti l’umanità era stata creata per essere la dimora di Dio, tanto che Gesù stesso afferma: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
È così che l’Ordine francescano fin dalle sue origini intese la consacrazione come un porsi al servizio della Signora Santa in due modi:
- con la sequela, perché seguendo Maria, imitandola, si arriva come Lei a lasciare che Gesù viva e abiti in noi (Francesco d’Assisi);
- con la totale appartenenza (il Totus tuus di Bonaventura) come Lei appartenne totalmente a Dio e Cristo appartenne totalmente a Lei. Questa spiritualità mariana si sviluppò nell’Ordine tanto che fu proprio nel ramo francescano delle Concezioniste spagnole che la consacrazione a Dio per mezzo dell’imitazione dell’Immacolata Concezione si concretizzò nella forma radicale della Schiavitù Mariana.
Nella formula usata dalle Concezioniste, come testimonia il Cetina[81], troviamo gli elementi fondamentali di questa consacrazione a Maria: l’offerta totale di se stessi alla vergine, come Cristo si donò a Lei e come Lei si donò a Dio Trinità. Il concetto fa parte della tradizione francescana a partire da san Francesco in poi, e in cui Kolbe si inserisce pienamente, anzi, la porta a perfezione perché addita l’Immacolata come la donazione più totale e l’offerta più perfetta che l’uomo possa fare a Dio.
Il seguire Gesù e Maria indicato da Francesco d’Assisi era divenuto nella tradizione francescana una priorità della vita spirituale e apostolica, che trovava in Maria Immacolata il modello, la via, la guida alla perfetta conformazione dell’uomo a Dio.
È proprio l’Immacolata, Regina dell’Ordine francescano, centro dell’attenzione e delle battaglie teologiche perseguite dai teologi e predicatori francescani, che necessita entrare nei cuori dei fedeli attraverso una Consacrazione al suo Cuore Immacolato. Quel cuore che è il modello di come si può amare veramente Gesù.
Per la Scuola francescana è chiaro che Maria è totalmente di Dio, e questo è il senso stesso della sua Immacolata Concezione e della sua divina Maternità. Questo suo “appartenere a Dio” è la prima realtà dell’essenza della Vergine, per cui appartenere a Maria significa appartenere a Dio. Seguire le orme dell’Immacolata significa dedicare tutta la propria vita a Dio come ha fatto Lei.
Nella consacrazione l’uomo diventa tutto di Maria, diventa in un certo senso Maria. Si potrebbe allora dire che come lo Spirito si unisce a Lei quasi da incarnarsi nella sua persona, così l’Immacolata si incarna in ogni persona che vive come Lei, che dona tutta la sua vita a Maria. Allora, come direbbe il Montfort, lo Spirito Santo trovando Maria in un cuore subito scende in esso e a lui si comunica come si è comunicato a Maria. E in effetti, la vita divina si realizza in noi solo tramite l’azione dello Spirito Santo, come sosteneva Francesco d’Assisi quando parlava della Comunione al corpo del Signore, che non siamo noi a riceverlo ma e lo Spirito Santo che lo riceve in noi. Così fu della divina Maternità di Maria e anche della divina maternità dei fedeli.
Per la Scuola francescana Maria, l’Immacolata Madre di Dio, non può essere mai disgiunta da Cristo e la realizzazione della propria vocazione si può attuare solo attraverso la conoscenza e la sequela di questa coppia divino-umana. Conoscere Maria Immacolata, consacrasi a Lei donandole la propria esistenza e impegnandosi nell’apostolato, significa realizzare il progetto divino e la propria vocazione che è l’essere «santi e immacolati nell’amore» (Ef 1,4) come lo furono Cristo e Maria, modelli e prototipi dell’umanità nuova.
[1] Per la mariologia di Francesco d’Assisi cf Ago L. M., La «Salutatio Beatæ Mariæ Virginis» di San Francesco di Assisi (Roma 1998); Schneider J., Virgo Ecclesia facta: la presenza di Maria nel Crocifisso di San Damiano e nell’Officium Passionis di San Francesco d’Assisi (S. Maria degli Angeli 2003).
[2] Celano, Vita seconda, FF 786.
[3] Francesco di Assisi, Ultima voluntas sanctæ Claræ scripta, in Fontes Franciscani (Assisi 1995) 140.
[4] Cf W. Viviani, L’ermeneutica di Francesco d’Assisi (Pubblicazioni del PAA, 9), Roma 1983, 163.
[5] Officium passionis Domini, Antifona, 2.
[6] Francesco D’Assisi, Epistola ad fideles (Recensio posterior), 5.
[7] Idem, Admonitiones, I, 18.
[8] Cf Trivino M. V., Mujer, Predicadora y Párroco. La Santa Juana (BAC Madrid 1999).
[9] Garcia Andres I., El Conhorte: Sermones de una mujer, la Santa Juana (1481-1534) (Madrid 1999) 42, 5, 1049.
[10] Ivi, 1, 17, 256.
[11] Cf J. B. Gomis, Esclavitud Mariana: Fray Juan de los Angeles y su Cofradía de Esclavas y Esclavos, in Verdad y Vida 14 (1946) 259‑286; Calvo Moralejo, Reconciliación del hombre por Cristo y cooperación de María, en Fray Juan de los Angeles, OFM (†1609), in Estudios Marianos 50 (1885) 251-264.
[12] Lc 1, 38. Il testo greco dice «’Idou. h` dou,lh Kuri,ou» che letteralmente significa «Ecco la serva-schiava del Signore».
[13] Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, Pontificia Academia Mariana Internationalis, Città del Vaticano 2003, 4.
[14] Ibid.
[15] Sal 115,16; cf Sap 9,5.
[16] Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 5.
[17] Vi è qui un accenno all’ormai famoso «Tuus totus ego sum: Tutto tuo io sono» del Psalterius Beatæ Mariæ Virginis attribuito a san Bonaventura (Psalterius Beatæ Mariæ Virginis, majus, in Sancti Bonaventuræ Operum, Tomus sextus [Lugduni MDCLXVIII] salmo 118; Canticum ad instar illius, Exod. 15) e largamente usato nella preghiera personale come testimonia il Montfort (Luigi M. Grignion da Montfort, Trattato della vera devozione alla santa Vergine e Il segreto di Maria, ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1987, 86).
[18] Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 5. In Gv 19, 10 Gesù dice: Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie.
[19] Ivi, 5-6.
[20] Ivi, 20.
[21] Ivi, 6.
[22] Cap. 12, f. 26r.
[23] Ivi, 67-68.
[24] Cf Arbor vitae crucifixae Jesu, Venezia 1485, I, 11, f. 36ab.
[25] Cf Ivi, I, ff. 35v-36r.
[26] Cf Ivi, IV, f. 160r.
[27] Bernardino da Siena, In Annuntiatione gloriosae Virginis, sermo VI, Opera Omnia VI, 113.
[28] Cf Idem, De septem verbis Virginis benedictæ, sermo IX, Opera Omnia VI, 144.
[29] Iacobi Mediolanensis, Stimulus amoris, Quaracchi 1949. L’opera in italiano si trova in I mistici. Scritti dei mistici Francescani. Secolo XIII (Bologna 1995) 797-881. Cf J. M. Canal, El “Stimulus amoris” de Santiago de Milán y la “Meditatio in Salve Regina”, in Franciscan Studies 26 (1966) 174-188.
[30] I mistici. Scritti dei mistici Francescani, cit., 814.
[31] Ivi, 848.
[32] Questa affermazione non è di Ambrogio ma di Corrado di Sassonia.
[33] Arbor vitae crucifixae Jesu, II, 5, f. 51v.
[34] Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit.
[35] Bonaventura di Bagnoregio, Memoralia, in Opera Omnia VIII, Quaracchi 1908, 494.
[36] Id., «Natale del Signore», cit., 941.
[37] Juan de los Angeles-Melchior de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 46.
[38] Ivi, 73.
[39] Bonaventura di Bagnoregio, Remedium defectorum religiosi, in Sancti Bonaventuræ Operum, Tomus septimus, Lugduni MDCLXVIII, 670 [opera dubbia].
[40] Juan de los Angeles-Melchior de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 73-74.
[41] Bonaventura, Leggenda Maggiore, FF 1051.
[42] Idem, Leggenda Maggiore, FF 1072.
[43] Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 46.
[44] Ivi, 46-47.
[45] Diario, 3, 516-517.
[46] Cf Gutiérrez E., Vida de Santa Beatriz de Silva y origenes de la Orden de la Inmaculada Concepción, Valladolid 1967; Id., El Franciscanismo de la Orden de la Inmaculada Concepción, in Archivo Ibero Americano 30 (1970) 129-159; Id., Espiri-tualidad de la Orden de la “Concepción Franciscana”, in Archivo Ibero Americano 34 (1974) 153-183; Omaechevarría I., Orígenes de la Concepción de Toledo, Burgos 1976; Meseguer J., Primeras Constituciones de las Franciscanas Concepcionistas, in Archivo Ibero Americano 25 (1965) 361-389.
[47] Cf Gutiérrez E., Venerable Sor Ines de San Pablo. Fondadora de la primera esclavitud mariana en Alcalá de Henares, Burgos 1984; Calvo Moralejo G., La esclavitud mariana y su origen concepcionista, Burgos 1976.
[48] Regla de las monjas de la Concepción de la Bienaventurada Virgen María, Burgos 1975, 15.
[49] Bulla Inter universa, in Sacra Congregatio Pro Causis Sanctorum, Toletana Canonizationis Beatae Beatricis de Silva Fundatricis Monialium Franciscalium a Sanctísima Conceptione. Positio super vita et virtútibus ex officio concinnata, Roma 1970, 58.
[50] Cf questo volume a p. 7-8.
[51] Cf Gomis J. B., Esclavitud Mariana: Fray Juan de los Angeles y su Cofradía de Esclavas y Esclavos, in Verdad y Vida 14 (1946) 259‑286; Calvo Moralejo G., Reconciliación del hombre por Cristo y cooperación de María, en Fray Juan de los Angeles, OFM (†1609), in Estudios Marianos 50 (1885) 251-264.
[52] Triunfos del amor de Dios (1590); Los diálogos de la conquista (1595); La lucha espiritual y amorosa (1600); Tratado de los sacratísimos Misterios de la Misa (1604); Tratado de las presencia de Dios, y declaración espiritual de los Cantares (1607); Manual de vida perfecta (1608); Vergel espiritual del anima religiosa (1610).
[53] Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 5.
[54] Ivi, 4.
[55] Cf Calvo Moralejo G., Fray Melchor de Cetina, O.F.M., el primer teologo de la “esclavitud mariana” (1618), in De cultu mariano sæculis XVII-XVIII, IV (Roma 1987) 51-79.
[56] Cf Juan de los Angeles-Melchor de Cetina, Esortazione alla devozione della Vergine Madre di Dio. Alle origini della “schiavitù mariana”, cit., 18-19.
[57] Ivi, 19.
[58] Tutto il II capitolo è dedicato a questa convinzione.
[59] Cf questo volume a p. 110.
[60] Cf Calvo Moralejo G., Fray Ambrosio Montesino, O.F.M. (†1514) y el culto a la “gloriosa Virgen María”, in De cultu mariano sæculo XVI, IV (Roma 1983) 1-33.
[61] Montesino A., Epístolas y Evangelios por todo el año, Toledo 1512, 223.
[62] Ivi, 215.
[63] Ivi, 222.
[64] Cf Calvo Moralejo G., Fray Melchor de Cetina, O.F.M., el primer teologo de la “esclavitud mariana” (1618), cit., 63-66.
[65] Cf Fernández D., La esclavitud mariana en la obra del padre Bartolome de los Rios (ca. 1580-1652) y su influjo en la escuela espiritual francesa de los siglos XVII y XVIII, in De cultu mariano sæculis XVII-XVIII, IV (Roma 1987) 243-282.
[66] Per una panoramica storica cf De Fiores S., Il culto mariano nel contesto culturale dell’Europa nei secoli XVII-XVIII, in De cultu mariano sæculis XVII-XVIII. Acta congressus mariologici-mariani internationalis in republica melitensi anno 1983 celebrati, vol. II, Roma 1987, 1-58; Cortinovis B., Sviluppo storico-dottrinale della schiavitù d’amore nel secolo XVII, Roma 1968-69, II-20.
[67] Dieu seul. Le saint esclavage de l’admirable Mère de Dieu, Paris 1668.
[68] La dévotion du saint esclavage de la Mère de Dieu, Paris 1668.
[69] Cf Andreu F., I Teatini e la schiavitù mariana, in Regnum Dei, 7 (1952) 4-20.
[70] Cf Rum A., Il secolo XVII. Rinascimento della schiavitù mariana, in Regina dei cuori 29 (1942) 44-46.
[71] Trattato della vera devozione alla santa Vergine e Il segreto di Maria, S. De Fiores (a cura di), Cinisello Balsamo 1987.
[72] Leonardo da Porto Maurizio, «Quaresimale», Opere, III, 392.
[73] Cf De Alva Et Astorga P., Militia universalis pro Immaculata Conceptione B.M.V. contra malitiam originis infectionis peccati, Lovanio 1633.
[74] Cf A. Ortega, La Rábida. Historia documental crítica, cit., 358. Mons. De Las Casas ricorda che era molto devoto della Vergine e del Padre San Francesco: B. De Las Casas, Historia de las Indias, I (México 1951) 29.
[75] Cf R. M. Tisnés, El marianismo de Colón, in De cultu mariano sæculo XX, cit., 75.
[76] C. Colón, Textos y documentos, Madrid 1982, 935.
[77] Cf R. Sbardella, «Influsso della devozione alla Madonna nella vita interiore di san Carlo da Sezze (1613-1670)», in Maria et Ecclesia, VI (Roma 1959) 475-501.
[78] Carlo da Sezze, Li devoti discorsi della Santissima Passione di nostro Signore Gesù Cristo, Manoscritto (1653).
[79] Cf Gli scritti di Massimiliano Kolbe, eroe di Oswiecim e beato dalla Chiesa, Città di vita, Firenze 1975-1978, III, 475.
[80] Ibid.
[81] Pur non conoscendo la formula del Cetina, la formula del Kolbe ha molte similitudini che possono spiegarsi in quanto entrambe frutto della spiritualità mariana francescana.